IL TRIBUNALE Letti gli atti della causa iscritta al n. 7409/97 del R.G.A.C., tra Fratini Sauro e il Condominio di via Rosi n. 26 di Jesi ha emesso la seguente ordinanza. Rilevato che la presente controversia riguarda un giudizio c.d. sul merito possessorio, dopo che il Pretore della sezione distaccata di Jesi aveva emesso i primi provvedimenti di natura interdittale a favore della parte ricorrente; Considerato che parte attrice in possessorio ha, fra l'altro, richiesto la ricostruzione di un muretto abbattuto dal convenuto condominio; che parte convenuta ha eccepito, fra l'altro, che tale muretto non risultava essere stato ricompreso nella concessione edilizia in variante n. 82072/5, poiche' tra le varianti autorizzate vi era proprio la modifica riguardante l'eliminazione del muretto che divideva in due il terrazzo condominiale oggetto di tutela possessoria, anche perche' confliggente con lo strumento urbanistico, e tale assunto appare confermato dagli atti di causa; che non a caso, secondo questo decidente, l'allora pretore che aveva concesso l'interdetto aveva ordinato la ricostruzione del muretto "... previa richiesta e rilascio da parte del Comune di Jesi dell'atto autorizzativo necessario"; che, in punto di rilevanza della questione di legittimita' costituzionale, questo giudice dovrebbe accedere alla richiesta di parte attrice, ordinando la ricostruzione del muretto, senonche': 1) non e' possibile ordinare la ricostruzione del muretto con la statuizione aggiuntiva apposta all'interdetto dall'allora pretore, relativa alla richiesta di regolare concessione edilizia. Infatti, non solo parte attrice non ha fatto menzione, nel suo ricorso introduttivo, a tale previa autorizzazione, ma anche nel successivo svolgimento del processo ha chiaramente mostrato di non collegare la sua domanda a questo presupposto di diritto pubblico. Cosicche' il giudice, nell'apporre questa ulteriore statuizione, eserciterebbe un potere officioso in violazione del principio della domanda; 2) ne' puo' dirsi che una statuizione del genere sia in re ipsa, poiche' in qualsiasi pronuncia giurisdizionale non si puo' che statuire e concedere cio' che risulta ottenibile secondo legge. E' proprio l'ambito del "giuridicamente ottenibile" che risulta in discussione: in uno specifico rapporto giuridico il giudice puo' dare una pronuncia che e' in assoluto contrasto con quanto dovrebbe statuire in altro ambito. E' qui appena il caso di richiamare il differente ambito della tutela petitoria e possessoria, ad esempio. In altre parole, l'utente chiede, e corrispondentemente il giudice deve dare, la tutela giurisdizionale coerente con il tipo di azione (e di diritto sostanziale) che si invoca. Se si accede a quanto sopra esposto, allora si deve affermare che parte ricorrente ha chiesto sic et simpliciter una tutela possessoria, alla quale parte convenuta non ha proposto una mera eccezione "feci, sed iure feci". Se sivuole parlare in termini di espressioni tradizionali, ha piuttosto opposto un "factum principis". In altre parole, viene in gioco il principio di conformazione sotteso all'art. 42 Cost.: se e' indubbio che il diritto di proprieta' non puo' essere affermato se non nei limiti, previsti dalla Costituzione e concretamente esercitati dal legislatore nel momento in cui esercita il c.d. potere di conformazione per determinati beni, altrettanto indubbio e' che, quanto alla proprieta' edilizia (al bene oggetto di trasformazione edilizia), il relativo diritto puo' essere esercitato - solo ed esclusivamente - nell'ambito di una disciplina regolatrice e, fino ad un certo punto, limitativa del potere di godimento del bene: ovvio che la concessione edilizia e' un tipico esempio di quanto si sta dicendo. Va ancora sottolineato che parte convenuta non eccepisce un "proprio diritto" contrapposto al diritto (o meglio, al diritto di possesso, o meglio ancora, per coloro che ripudiano tale ultima espressione, al possesso tout court) dell'attore, poiche' in tal caso si dovrebbe venire a valustare l'ambito di rapporti interprivati, ma eccepisce una conformazione del bene che e' un oggettivo limite per essa come per parte attrice. Se cosi' e', non puo' venire in soccorso quale regola principale quella sottesa alla finalita' della tutela possessoria (ne cives ad arma veniant) proprio perche' non si tratta di rapporti interprivati ma di regole generali poste nell'interesse della collettivita', ed esplicanti la funzione sociale della proprieta'. Ne discende ulteriormente che la tutela del possesso, seguendo il solco tracciato dall'art. 1168 c.c., va ben al di la' della corrispondente figura del diritto reale (il possesso e' il potere sulla cosa che si manifesta in un'attivita' corrispondente all'esercizio della proprieta' o di altro diritto reale: art. 1140 c.c.) In maniera del tutto incongrua ed ingiustificata. E' appena il caso di osservare che la questione non si risolve, a parere di questo giudice, rigettando la richiesta di tutela possessoria, perche' appare evidente che un potere di fatto sussisteva indubbiamente ed e' giurisprudenza costante che la tutela del possesso debba offrirsi anche a fronte di un possesso illegittimo o in mala fede, senza distinguersi tra i vari profili di illegittimita' (cioe' se confliggente con norme pubbliche o solo con norme che regolano i rapporti interprivati). Quindi e' giocoforza affermare che la tutela del possesso e' incongrua rispetto alla tutela e la funzione del diritto reale corrispondente, ed in particolare rispetto ai principi costituzionali di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. (poiche', paradossalmente, offre una tutela piu' ampia al possesso rispetto al diritto reale corrispondente: si badi, non al diritto reale in concreto invocabile, che potrebbe anche mancare, ma proprio all'istituto giuridico corrispondente) nonche' con il potere conformativo e la funzione sociale della proprieta' di cui all'art. 42 Cost.: viene infatti a frustrare non solo e non tanto la possibilita' di apporre limiti all'esercizio di un'astratta figura di proprieta' (che non esiste in concreto: e' stato osservato che deve parlarsi di proprieta' al plurale, a seconda degli specifici contenuti che il diritto del dominus viene ad assumere per ciascuna categoria di beni) quanto l'applicazione dei predetti limiti ad una determinata categoria di beni, dal momento che quest'ultima possibilita' verrebbe vanificata - per un consistente periodo o sine die, comunque il tempo che basta per eludere le norme di diritto pubblico - dal possessore che invoca la tutela possessoria sul bene.